DIZIONARIO SIMBOLICO IN PRIMA PERSONA

Tipo, emblema e rappresentazione di oggetti morali.

Anche i simboli sono corpi. In questo caso è il rapporto con l’altro che cambia. Il simbolo non è autonomo, con le proprie gambe non può “gettare” senza essere “insieme”: si deve essere almeno in due, un rapporto imprescindibile.

Il primo per tradizione antica è l’anello, e così per me. Dal 6 luglio 2016 indosso una fede su cui è inciso insieme alla data “Arte e Reverie”. Il matrimonio con l’arte è base solida per tanti artisti. Lei è la donna della mia vita e a lei dedico la mia purezza, ogni rosa, ogni momento di vita. Ho scelto di sancire questa unione in una performance privata, uno sposalizio ateo. Se nell’arte ci sono nata, con Arte ho ritrovato me stessa presente alla soglia di un procedere e so che per sempre non sarò mai sola. A proposito di rose, dall’unione di significati di questo immenso multiforme fiore che per me rappresenta l’arte stessa col giglio è nato un personale innesto: il rosagiglio. Quest’ultimo e la fede sono sicuramente le mie costanti. Ogni esistenza ha i suoi simboli che sanciscono i cambiamenti non solo nei cicli, nei lavori, nell’operare ma anche nelle stesse vite: a oggi il mio metodo si riassume nella perla, il mio sogno futuro nel ragno, il mio rapporto col tempo nell’uovo-matrice, il mio memento alla morte e alla fragilità sono le mie mani e le unghie assenti, la mia solitudine profonda nel sole, l’alba che ogni mattina vado a incontrare nella luna, l’elemento simbolico del mio corpo che immagino e sento la necessità di usare sono i capelli, l’elemento simbolico al di fuori del mio corpo che sto costruendo sono le ali… il simbolo della mia essenza sta nella nuda verità che come corpo è l’ombra.

LA PERLA

Nealogismo
Parole in libertà per Arte
Che sanno di rumore di passi di vita
Nascere sola
Consapevole senza riempire l’essere concavo del corpo di donna
Identificandosi nel proprio senza genere
Per essere filtro altro parlante
Operare
Tendere e tessere fili in equilibrio
Precario
Come elastici senza forme certe
La purezza sporca esorcizza
Curo con la vita una costante malattia di verità
Dentro la conchiglia un lento procedere e lavoro di sedimentazione e madreperla:
Scrivo e ogni embrione nasce
Sogno a occhi aperti uscendo dalla porta di casa di esistenze e seguendo la luna all’alba
Rifletto noi stessi
Parte del medesimo collettivo ciclo
Ma io non sanguino più
E io non sono solo sogni
Anche la forma apparentemente più perfetta e universalmente riconosciuta come preziosissima la Natura ci insegna che non esiste
Mi specchio per guardare insieme
Fotografo senza tempo e modifico i lineamenti del corpo della parola
Con pensieri liberi e a mani unte di eccessi, silenzi, pianti anche di gioia
Chiudo un arco
L’opera è preziosa anche se è un parassitario granello di sabbia
Mi nutro dell’estraneo sublime che coglie indifesi
Un’ostrica che non è stata ferita non produce perle, perché la perla è una ferita cicatrizzata
Orizzonte.

BATTESIMO, CONFESSIONE, CONFERMAZIONE
“Sono tre sacramenti cristiani”.

Nata cattolica, mi sono allontanata dal culto cristiano pur rimanendo ossessionata dalla sua ritualità. Per i miei primi tre lavori pubblici ho amministrato tre personali sacramenti atei inserendo in ciascuno un gesto simbolico come dimostrazione della veridicità del mio procedere.
Per “Tempo zero” ho presentato me stessa al pubblico per la prima volta come Reverie confidando singolarmente che quello era il giorno del mio battesimo, nel quale nascevo nelle acque del mondo di Arte.
Per “Rinascimento ipersensibile” ho condiviso un importante momento di confessione: a Palazzo Strozzi ho ritagliato degli specifici momenti di dialogo 1:1 con i visitatori, recuperando la privatezza della Visitazione di Burden, facendo partorire loro pensieri e ascoltando i loro cuori davanti alla fiamma dell’opera di Bill Viola. È stata un’esplosione di umanità, verità, lacrime e potenti energie.
Con “PourOntani” ho realizzato col pollice destro sulla mia fronte una croce con olio di alloro proveniente da un contenitore sacro tipico della cresima, in quel preciso istante mi trovavo fino alle ginocchia immersa nella fontana posta al centro del Giardino Moresco in cui la mia performance aveva luogo. Considerando l’eccelsa figura presente, la confermazione è avvenuta sotto lo sguardo attento del mio Maestro e Padrino ideale.
Mi sono per la prima volta resa conto di non riuscire ad abbandonare la forza e l’intensità di quei gesti liturgici che sin da bambina avevo ammirato e interiorizzato quando ho deciso di realizzare nel luglio 2016 il mio manifesto di poetica che porta il nome di “Sposalizio con Arte”.
Come giustamente afferma Lea Vergine, l’arte non è una religione proprio perché non c’è una fissità, una stabilità di norme, regole e non si crede in una verità assoluta. Le correnti e le controcorrenti del fluire di Arte sono molteplici, instabili e le più diverse. Io ho deciso di dare la mia vita ad Arte nella sua natura inafferrabile come una dedica costante, una scoperta costante, una relazione, una vita insieme. Mi servo del recupero di momenti del culto religioso come strumento per fissare con forza e in modo indelebile, quasi eterno, attimi che per me in questo procedere liquido rappresentano punti fermi non dell’Arte ma del mio procedere in essa.

CORPO
“Termine generico con cui si indica qualsiasi porzione limitata di materia oppure la struttura fisica dell’uomo e degli animali oppure un insieme di cose o persone che formino un tutto omogeneo”.

Cosa vuol dire essere nudi? Sostengo che il corpo è il mio strumento. Pur essendo individuale nello specifico del suo significato anatomico, questo è, con le sue funzioni, una base certa di uguaglianza per tutti gli uomini e non provo assolutamente difficoltà a usarlo in dedica ad Arte.
Il mio lavoro personale è stato definito in parte di arte-terapia e in sintonia con la Body Art, nasce dalla dimensione di una persona sola che incontra l’altro per la prima volta. Il mio corpo si fa tramite e megafono di esperienze singole che diventano collettive poiché realmente vere in quanto vissute per la prima volta. Ogni mia performance e opera non viene mai preceduta da nessun tipo di prove ma, dopo essere stata da me a lungo progettata e costruita e composta in ogni singolo elemento e oggetto, viene realizzata solo una volta e per la prima volta nella data e nel luogo prescelti. Per quanto riguarda i miei progetti, non metto mai a repentaglio la vita di nessuno, né mia né degli spettatori, pur dando vita a lavori estenuanti e di altissima intensità non solo emotiva. Per quanto riguarda le più diverse forme di collaborazioni artistiche, metto me stessa (come unità) al servizio dell’estetica, del pensiero e del lavoro altrui: l’artista con cui mi relaziono può quindi fare di me ciò che vuole, io non avrò limiti né proverò sofferenza in quanto porterò a termine ogni singola situazione devotamente per Arte. Ho superato l’ipotermia e la ripetitività della performance (un concetto che per me assolutamente non appartiene alla mia pratica performativa), solo per fare due esempi estremi, e non temo nessun esperimento o limite fisico se realizzato come opera d’arte.

FEDE
“L’anello nuziale, costituito da un semplice cerchio liscio d’oro”.

Il 6 luglio 2016, ho realizzato, nell’Archivio Carlo Palli di Prato – alla presenza di sette testimoni, tra videomaker e fotografi –, il mio primo progetto di performance teso a rappresentare il momento di inizio del mio procedere, la mia rottura col passato verso un futuro di rappresentazione nel reale: da quella data porto una fede d’oro all’anulare sinistro al cui interno è inciso: “Arte e Reverie, 6 luglio 2016”.
Avevo la necessità di spiegare attraverso questa azione, realizzata in presa diretta alle 16:00 di quel giorno in un luogo che rappresentava non una chiesa ma la cattedrale della mia infanzia e della storia dell’arte che toccato con mano muovendo i miei primi passi tra Leonardo Da Vinci e Beppe Chiari, il mio rapporto con Arte, la donna della mia vita. Ritengo infatti che Arte non sia una religione e per questo non debba essere oggetto di culto ma la identifico come la presenza a me più cara e alla quale ho deciso di dedicare ogni singolo istante della mia vita. È per questo motivo che non uso l’apostrofo né la lettera minuscola per parlare di Lei. Ho una vita spartana, non perdo mai di vista i bisogni del mio corpo, della mia mente e del mio spirito, prediligo l’isolamento malgrado la mia costante attenzione nei confronti del mondo e di ciò che succede fuori dal mio cerchio.
Ho una vita in purezza.
La mia quotidianità è spoglia di qualsiasi tipo di contatto fisico col mondo mentre la mia vita lavorativa e il mio agire da artista è costantemente macchiato da contaminazioni e confronti necessari a rendere ancor più forte la mia unica purezza.

GIGLIO
In botanica, genere di piante liliacee (lat. scient. Lilium)”.

È il fiore delle leggende, soprattutto religiose che nell’incontro di Maria e Giuseppe hanno inizio e che proseguono con l’Annunciazione e che tornano fino ai miti, come racconta Tintoretto ne “L’origine della Via Lattea”. Oltre a essere simbolo nella cristianità, il giglio è anche uno dei più presenti nella storia delle grandi dinastie, degli ordini equestri ed è lo stemma della città di Firenze.
Per la mia personale definizione, riparto dal colore del lilium candidum e dalla “Poetica della rêverie”: «D’Annunzio ha posto una rêverie davanti all’acqua limpida in cui l’anima trova il suo riposo, il riposo nel sogno di un amore che potrebbe restare puro» (p. 212).
Il mio giglio è la mia promessa di Purezza. Nuoto in un quotidiano panta rei di vite, esperienze, persone, circostanze… e per quanto io interiorizzi, ascolti e mi relazioni con tutto questo ciò che sempre vince è la mia assoluta intangibilità. La mia essenza resta bianca.
Entrando seppur velocemente nella profondità di questa mia affermazione, ritengo che le contaminazioni col mondo siano assolutamente necessarie ma che queste ogni volta dimostrano l’unicità di una mia voce fragile ma allo stesso tempo forte e chiara. Sono pura fisicamente. Rifiuto ogni tipo di contatto intimo poiché lo ritengo la prima manifestazione di egoismo e di sofferenza nei confronti non solo di se stessi ma del mondo. A differenza di una pubblica condivisione del corpo, della nudità, dell’intimità in dedica ad Arte nei confronti dei quali non nutro alcun problema, ripudio ogni avvicinamento eccessivo alla mia sessualità.
A differenza di molti artisti che fanno della loro pratica sessuale un motivo di sfondo o parte integrante del loro metodo, io credo che il tener dentro sia la chiave e che preservi l’intangibilità della mia purezza. A seguito del mio “Sposalizio con arte”, il mio manifesto di poetica, ho perso la verginità e l’ho ritenuto un atto necessario per completare quel matrimonio che avevo realizzato con così tanto amore e intensità che altrimenti non lo avrei pensato un rito compiuto. Ma le donne, dicono, sono brave a tornare al candore iniziale della loro mente. Così inconsciamente ho fatto una scelta. Vivo da sola. Vivo per me e racconto così le mie sofferenze come le sofferenze di un mondo in purezza. Ritengo questo discorso “femminista” nel momento in cui riconosco di non dover compiacere nessuno, di non essere alla mercé di nessuno, di non avere un rapporto di dipendenza da nessuno. Sono libera. E solo così il mondo e la sua attualità può essere presente davvero nella mia vita.

IPERSENSIBILITÀ
Composto di iper- e sensibilità. In medicina: Esagerata sensibilità organica”.

«Le immagini solitamente associano una dimensione “mentale” intangibile allo spazio concreto in cui si trova il soggetto. Se consideriamo però inscindibile l’esperienza fisico-interiore nel momento stesso della fruizione, è evidente che andare al di là dell’immagine diventa allora possibile. Questa dimensione di sviluppo di uno stato di afasia o di Sindrome di Stendhal produce una ri-creazione attiva, che coinvolge la mente e la persona nell’interezza delle sue emozioni: questa è l’ipersensibilità. Desidero legare l’ipersensibilità, ovvero un eccesso positivo nella risposta alle energie e alle forze emozionali, all’arte come reazione immunitaria immediata all’opera che solo il corpo umano può avere. L’obiettivo della mia seconda performance pubblica, (“Rinascimento ipersensibile”) e non solo, non è più solo lo studio del pubblico, ma costituisce un passo ulteriore nella mia ricerca: la dimostrazione che ciascun essere umano presenta in sé un carattere ipersensibile, anche se latente o di difficile manifestazione. Il 20% della popolazione è, per ricerca scientifica, ipersensibile; io confesso di esserlo e solitamente l’artista è per definizione il “più ipersensibile”. Lo stato delle PAS (Persone Altamente Sensibili)è la “vulnerabilità” costante che può avere un risvolto positivo: gli individui sono più reattivi e pronti a rispondere in qualunque modo (dall’osservazione attenta fino a uno specifico comportamento) all’ambiente e non solo. L’incremento dell’attenzione visiva e del coinvolgimento cognitivo sono stimoli essenziali che ovviamente esplodono in una mostra come “Rinascimento Elettronico”, in cui l’occhio dello spettatore è sollecitato a diverse possibilità di lettura e di soggettiva fruizione. Stimolare il pubblico a vivere ciò che Bill Viola racconta in un fluire ininterrotto, a ricostruire nel reale i gesti, gli sguardi e a veri care i nuovi sensi, che nell’acqua hanno un’origine primaria, rappresenta la mia sfida» Reverie, luglio 2017.
Estratto da “L’ipersensibilità è uno stato dell’arte”, “Reverie. Rinascimento ipersensibile”, edizione limitata realizzata in occasione della performance a Palazzo Strozzi.

OCCHIO
Organo di senso per la ricezione degli stimoli luminosi, che vengono trasmessi ai centri nervosi dando origine alle sensazioni visive”.

Per Bachelard «è il proiettore di una forza umana». Sono nata a occhi aperti per definizione. La vista è il filtro primario che tutto registra e da cui tutti gli altri sensi seguono tendendo naturalmente all’iper-sensibilità. È proprio di persone con un alto livello di sensibilità, la capacità percettivo-cognitiva di comprendere anche l’imponderabile e di vivere una realtà spesso aumentata. Il terzo occhio solitamente è ritenuto il simbolo di tutto questo.
Sostengo invece che il corpo nella sua totalità sia occhio e che tutti i sensi non rappresentino nient’altro che declinazioni della possibilità di vedere e di comunicare.
La bocca resta importante tramite di espressione poiché la parola è uno dei miei veicoli privilegiati di trasmissione di poetica e di pubblico e/o virtuale confronto. Le estremità che rientrano nell’insieme del tatto sono i mezzi di rottura del limite del proprio sé verso la possibilità di una condivisione di un corpo umano che non si limita al singolo individuo nello spazio ma che si amplia alla collettività unita insieme allo spazio, alle opere e/o agli oggetti che si trovano intorno. Le orecchie sono testimoni attenti dei suoni della quotidianità, l’udito deve essere pronto a recepire anche l’impercettibile poiché anche il silenzio è musica profondissima. Così come l’olfatto può guidare nel riconoscere una singola esperienza, sensazione, persona e personalità (da un anno e mezzo oltre a indossare ogni giorno una rosa, porto di questa sulla mia pelle il profumo).

REVERIE
Derivazione di rêve «sogno». È la dimensione autentica dell’esercizio concreto dell’immaginazione”.

Se Bachelard riconosce di aver dedicato la sua opera, “Poetica”, a numerose e varie tipologie di rêveries, ma soprattutto di aver parlato di quelle che pensano, io riconosco di trovarmi in uno stato di Reverie meditativa. L’iconologia del mio nomen omen rappresentata quotidianamente da me stessa in uno stato vigile istante per istante ma allo stesso tempo sognante, l’ho simbolicamente incarnata al termine della mia terza performance pubblica, per “PourOntani. Dedica a occhi aperti al Maestro Luigi Ontani”. Questi mi aveva infatti esortato a realizzare una mia maschera e così, ispirata dalla Melancholia di Albrecht Dürer e dalle raffigurazioni della Reverie, mi sono seduta su una sedia coperta dal lenzuolo bianco scritto a mano di rosso dalle mie parole di favola, ho cinto la mia testa di un copricapo di piume purissime, ho lasciato una conchiglia di botticelliana memoria ai miei piedi e ho accavallato le gambe del mio corpo-livrea semi nudo riparato di un pallore cignesco, ho tenuto in mano la maschera del mio volto realizzata facendo di questa un calco dal vivo e ho lasciato il mio occhio cercare: così mi sono persa in ragionamenti, pensieri e immagini acronici. Ho guardato nel vuoto con significativa mancanza di contatto col mondo.

Reverie fa parte di questo dizionario onirico perché è il punto di partenza di me. Prima del 24 giugno 1994, era nato il “Museo Reverie” grazie ai sogni a occhi aperti dell’arte di mio padre. In occasione del mio battesimo, così i miei genitori spiegarono la scelta di questo complicato nome:
Eloisa
Non fu solo il nome dell’eroina medievale d’amore per Abelardo; a lei, nel cuore dell’Illuminismo, Jean-Jacques Rousseau intitolò un testo fondamentale per l’utopia di un nuovo mondo e per l’educazione orientata verso il vivere primigenio e spirituale, tra esperienza della natura e sentimento in rapporto alla ragione, per il trionfo di verità̀, libertà, giustizia, virtù, felicità… Ma soprattutto Eloisa è Reverie!
Reverie
È poesia del fantastico e dell’immaginario, dell’istinto di libertà fra progetto e utopia; è la forza dell’animo e della ragione nel sogno ad occhi aperti, nella meditazione creativa tra le figurazioni di Arte/”Melancolia” e Felicità”.

Non mi sono mai riconosciuta altro se non Reverie: il nome anagrafico che dal 23 maggio 2017 è diventato anche l’unico cancellando sia Eloisa che Vezzosi e battezzando me stessa.

ROSA
Nome delle varie specie di piante del genere Rosa, della famiglia rosacee”.

«Di una rosa che lambisce il marmo, gli psicanalisti farebbero facilmente una storia. Ma dando alla pagina poetica responsabilità psicologiche troppo remote, ci priverebbero della gioia di parlare. Ci strapperebbero le parole di bocca» afferma Bachelard sempre nella “Poetica della rêverie”.
Forse il fiore più abusato di tutti, la rosa non è per me un oggetto ma un’esigenza estetica.
Dal 2016 indosso ogni giorno una rosa corrispondendo alla mia necessità di raccontare in modo evidente e quotidiano la mia sempre presente dedica ad Arte.
Ho volutamente scelto questo fiore proprio per le sue molteplici simbologie poiché tale (multiforme) è l’Arte in cui credo. Ogni giorno, ogni rosa (vera, finta, da me costruita o no che sia) è per questo motivo sempre diversa ma allo stesso tempo sempre la stessa, simbolo di tutte le sue simbologie e portatrice attiva di nuove. Come definire la rosa?
Non mi perderò nell’elencare le differenti definizioni che regolarmene si succedono quando è necessario parlare di questo fiore: la rosa come completezza, la rosa come passione e morte, gloria e resurrezione, in altre parole la vita eterna; la rosa come stemma del Sacro e del Profano; la rosa si fa dorata fino a divenire Mistica; la rosa di San Giuseppe e i suoi petali; la rosa nella mitologia e la rosa cara alle dee più belle; la rosa islamica e la rosa nella Grecia classica… Il poeta latino Decimo Magno Ausonio associa alla rosa la fugacità della vita; in un suo idillio (61) egli recita: “Uno sola giornata comprende la vita della rosa; essa in un solo attimo congiunge la giovinezza e la vecchiaia”, riprendendo il motivo del carpe diem oraziano e anticipando temi che troveranno ampio spazio nel Rinascimento. “Le rose della Pieria” di Saffo prima che di ogni altro poeta greco; le rose di Helios e delle Muse; la rosa massonica e l’ambiguità della lingua tedesca “Im Rosengarten sein”; le rose delle streghe, delle fate e nelle favole; nell’alchimia e nelle scienze magiche in genere, la rosa bianca e quella rossa sono ritenute gli elementi primordiali di cui si ritiene composta la materia esistente: la prima come sostanza “volatile” e la seconda come ingrediente “in combustione”. Secondo questa teoria, la pluralità delle forme della materia è da attribuirsi proprio a un diverso rapporto tra le due sostanze base.
Per le mie performance pubbliche utilizzo le rose nella loro purezza: con le loro spine, le loro foglie e il loro colore. Mi sono servita di rose rosse e bianche per riadattare a mio modo “Plaisir/doleur” del Maestro Ontani in occasione della performance a lui dedicata, mentre per le mie due performance precedenti ho utilizzato la mia tipologia preferita di rose ovvero di gambo medio e dal colore bianco tendente al verde mentre per lo “Sposalizio” ho interagito con 22 rose bianche a gambo lungo e altrettante finte. Ritengo molto interessante infatti il tema del contrasto tra realtà e finzione, copia e artifizio diventato classico nell’attualità dell’Arte. Ogni volta ho scelto come costante di avere tante rose quanti erano i miei anni: ho voluto infatti che per quante simbologie o per quante citazioni potessero essere rievocate, almeno uno di questi numeri e di questi elementi dovesse essere in quel momento il più possibile vicino a me. Tornando alla rosa bianca acerba tendente al verde e quasi in boccio: questa è la tipologia che mi rappresenta e che meglio identifica questo momento della mia vita.

TEMPO
L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro”.

«Uomo, vecchio, vestito di Cangiante color vario, e diverso; sarà detto vestimento riccamente a Stelle, perché di tempo in tempo esse sono dominatrici alle cose corrottibili; sarà coronato di Rose, di Spighe, di Frutti, e di Tronchi secchi, come Rè, e Signore dell’Anno, e delle stagioni; starà a sedere sopra il Circolo del Zodiaco, perché la sua virtù è là su nel Cielo altamente collocata, e misurando a noi i moti del Sole, e de gli altri Pianeti ci distingue, e estingue i Mesi, gli Anni, e l’Età; terrà uno Specchio forbito in mano, il quale ci fa conoscere, che del tempo solo il presente si vede, e ha l’essere, il quale per ancora è tanto breve, e incerto, che non avanza la falsa imagine dello Specchio. A canto avrà un Fanciullo magro, e macilento da una banda, e dall’altra un altro bello, e grasso, ambidue con lo Specchio, e sono il tempo passato, che si va consumando nelle memorie degli uomini, e il futuro, che accresce le speranze tuttavia. A’ piedi sarà un Libro grande nel quale dui altri Fanciulli scrivano; tenendo l’uno, significato per lo Giorno, il Sole in testa, e l’altro, per la Notte, la Luna» (“Iconologia”, Cesare Ripa).
Ho deciso di citare la fonte che lo stesso Luigi Ontani ha utilizzato per rappresentare le sue “Ore” poiché io stessa sono partita da questa immagine per potermene appropriare e raffigurare, con personali simbologie, la mia. Per me Tempo è un uomo, una figura con cui relazionarsi e che non bisogna mai perdere di vista. È pesante, assillante anche se latente ma non devi assolutamente mai dimenticarti di lui. È una delle mie più quotidiane ossessioni e rappresenta un compagno fidato e ogni presente della mia solitaria esistenza.

VALIGIA
“Contenitore per riporvi il vestiario e altri oggetti personali da portare con sé in viaggio”.

È un oggetto sempre presente nei miei lavori pubblici e/o privati. Fa parte del concetto di viaggio che la mia vita artistica rappresenta. Per quanto riguarda i miei personali progetti, questa è lo strumento che mi aiuta a mantenere fede alle promesse con le quali entro in musei, gallerie, spazi pubblici e privati con cui mi relaziono: tutto ciò che porto con me, e che in quelle circostanze utilizzo, viene usato e portato poi via dopo essere nuovamente stato raccolto all’interno della mia compagna di viaggio. Solitamente si tratta di valigie della mia famiglia, che hanno una storia e che rappresentano questa idea di un viaggio verso il futuro che ha le radici salde in uno specifico passato. Tutto il mio lavoro, tutta la mia vita, tutta la mia storia entrano nella mia valigia, un nuovo “Museo Reverie”.